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CRITICS

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Scrittore umorista napoletano, Giornalista pubblicista, insegnante di tedesco, critico d’arte e copywriter, è autore di numerose opere di narrativa, di saggistica storica e di una commedia

Grida di fata, progetto artistico di sensibilizzazione di Rennato Iannone e Lilliana Comes

Il progetto itinerante Grida di fata nasce da una combinazione artistica tra la fotografia di Renato Iannone e l’illustrazione di Lilliana Comes, da uno sguardo comune verso situazioni di degrado e di scempio ambientale, da un uso distorto delle risorse della terra, ma da una diversa modalità espressiva che associa il reportage di denuncia a una favola poetica per richiamare l’attenzione su alcune situazioni di criticità del nostro circondario, e tuttavia sempre interpretabili come manifestazioni tangibili di più ampie problematiche della civiltà contemporanea concernenti il rapporto dell’uomo con il suo habitat naturale.

Ciò che distingue il lavoro di Iannone e Comes da una sterile documentazione articolata per immagini, come potrebbe risultare un comune servizio fotogiornalistico, è l’atemporalità e l’aspazialità della protesta, che proprio per queste precise ragioni assume i caratteri dell’universalità, e pertanto travalica i confini del mero dossier d’attualità, per assurgere a manifestazione artistica sui generis, grazie a una sovrapposizione grafica che in qualche modo fa da contraltare alla durezza della condizione rappresentata, ne interpreta l’indignazione, ma non rinuncia alla speranza di un cambiamento possibile, attraverso una presa di coscienza che passa soprattutto attraverso l’arte, per la sua intrinseca capacità di superare il crudo dato reale e dare adito all’immaginazione.

Renato Iannone e Lilliana Comes hanno quindi sostituito le grida di protesta con le “Grida di fata” introducendo un personaggio fantastico, quale naturale sviluppo di una figura femminile che appare nelle opere più significative della pittrice e alla quale è delegata la rappresentazione di un universo delle emozioni e della bellezza, elementi che in questa originale creazione artistica sono chiamati a salvare il mondo dallo scempio causato dall’essere umano. I due autori immaginano la fata aggirarsi sui luoghi del degrado, che sovente sono luoghi dell’abbandono, anche nell’accezione metaforica del termine, perché le situazioni ritratte sono spesso la conseguenza tangibile dell’abbandono di un più ampio precetto, ossia dell’idea che l’ambiente sia la nostra casa comune e debba essere salvaguardato per la nostra stessa salute e il nostro futuro.

La favolosa creatura, nata dalla fantasia di Liliana Comes, visita i luoghi della bellezza oltraggiata, la consola con una carezza, commenta lo stato delle cose, cerca di risalirne alle cause, dispensa suggerimenti e ci regala il sogno della rinascita. La sua sembra una battaglia impari, ma ella possiede il coraggio per affrontare la sfida di costruire, insieme, un mondo migliore.

Il “Grido di fata” è delicato, poetico, non accusa, ma cerca di convincere, si contrappone alle brutture con la sua grazia, la sua presenza sul territorio incute rispetto, essa riempie gli spazi vuoti e li accarezza, prova a curarne le ferite e li va rivivere, e allora si scopre che il personaggio non è solo di fantasia, ma assume anche una veste allegorica ben identificabile. Quella fata è, infatti, il simbolo della nostra coscienza, dell’avvenuto ravvedimento di noi abitatori di questa terra, è la metafora di una consapevolezza ritrovata; non occorrono grandi programmi: per rimettere l’ambiente in sesto è proprio necessaria una rinnovata coscienza, la sola che potrà modificare gli atteggiamenti sbagliati, ai vari livelli della nostra civiltà, dai principali governi ai comuni cittadini.

La fata raccoglie il grido d’allarme dell’ambiente e lo amplifica, ma il suo è un linguaggio diverso; essa non modifica la realtà, non ne avrebbe il potere, ma ce la fa vedere con occhi diversi, di partecipazione, ci lascia immaginare un altro mondo possibile perché quel mondo è il nostro mondo, Ecco che allora si scopre che a un secondo livello ermeneutico la fata non è altro che l’arte; come l’arte può lanciare un messaggio per farci riflettere e comprendere che forse non tutto è perso, come l’arte ci può stupire e proiettarci nell’universo delle emozioni e della bellezza lanciando un’idea diversa di benessere, e qui il circolo si chiude

Domenico Raio
Prof. Domenico Raio

Il progetto itinerante Grida di fata nasce da una combinazione artistica tra la fotografia di Renato Iannone e l’illustrazione di Lilliana Comes, da uno sguardo comune verso situazioni di degrado e di scempio ambientale, da un uso distorto delle risorse della terra, ma da una diversa modalità espressiva che associa il reportage di denuncia a una favola poetica per richiamare l’attenzione su alcune situazioni di criticità del nostro circondario, e tuttavia sempre interpretabili come manifestazioni tangibili di più ampie problematiche della civiltà contemporanea concernenti il rapporto dell’uomo con il suo habitat naturale.

Ciò che distingue il lavoro di Iannone e Comes da una sterile documentazione articolata per immagini, come potrebbe risultare un comune servizio fotogiornalistico, è l’atemporalità e l’aspazialità della protesta, che proprio per queste precise ragioni assume i caratteri dell’universalità, e pertanto travalica i confini del mero dossier d’attualità, per assurgere a manifestazione artistica sui generis, grazie a una sovrapposizione grafica che in qualche modo fa da contraltare alla durezza della condizione rappresentata, ne interpreta l’indignazione, ma non rinuncia alla speranza di un cambiamento possibile, attraverso una presa di coscienza che passa soprattutto attraverso l’arte, per la sua intrinseca capacità di superare il crudo dato reale e dare adito all’immaginazione.

Renato Iannone e Lilliana Comes hanno quindi sostituito le grida di protesta con le “Grida di fata” introducendo un personaggio fantastico, quale naturale sviluppo di una figura femminile che appare nelle opere più significative della pittrice e alla quale è delegata la rappresentazione di un universo delle emozioni e della bellezza, elementi che in questa originale creazione artistica sono chiamati a salvare il mondo dallo scempio causato dall’essere umano. I due autori immaginano la fata aggirarsi sui luoghi del degrado, che sovente sono luoghi dell’abbandono, anche nell’accezione metaforica del termine, perché le situazioni ritratte sono spesso la conseguenza tangibile dell’abbandono di un più ampio precetto, ossia dell’idea che l’ambiente sia la nostra casa comune e debba essere salvaguardato per la nostra stessa salute e il nostro futuro.

La favolosa creatura, nata dalla fantasia di Liliana Comes, visita i luoghi della bellezza oltraggiata, la consola con una carezza, commenta lo stato delle cose, cerca di risalirne alle cause, dispensa suggerimenti e ci regala il sogno della rinascita. La sua sembra una battaglia impari, ma ella possiede il coraggio per affrontare la sfida di costruire, insieme, un mondo migliore.

Il “Grido di fata” è delicato, poetico, non accusa, ma cerca di convincere, si contrappone alle brutture con la sua grazia, la sua presenza sul territorio incute rispetto, essa riempie gli spazi vuoti e li accarezza, prova a curarne le ferite e li va rivivere, e allora si scopre che il personaggio non è solo di fantasia, ma assume anche una veste allegorica ben identificabile. Quella fata è, infatti, il simbolo della nostra coscienza, dell’avvenuto ravvedimento di noi abitatori di questa terra, è la metafora di una consapevolezza ritrovata; non occorrono grandi programmi: per rimettere l’ambiente in sesto è proprio necessaria una rinnovata coscienza, la sola che potrà modificare gli atteggiamenti sbagliati, ai vari livelli della nostra civiltà, dai principali governi ai comuni cittadini.

La fata raccoglie il grido d’allarme dell’ambiente e lo amplifica, ma il suo è un linguaggio diverso; essa non modifica la realtà, non ne avrebbe il potere, ma ce la fa vedere con occhi diversi, di partecipazione, ci lascia immaginare un altro mondo possibile perché quel mondo è il nostro mondo, Ecco che allora si scopre che a un secondo livello ermeneutico la fata non è altro che l’arte; come l’arte può lanciare un messaggio per farci riflettere e comprendere che forse non tutto è perso, come l’arte ci può stupire e proiettarci nell’universo delle emozioni e della bellezza lanciando un’idea diversa di benessere, e qui il circolo si chiude

Il progetto artistico che vede protagonisti Liliana Comes e Renato Iannone è di grande interesse e di profondo coinvolgimento, non solo da parte di entrambi gli artisti, ma anche e soprattutto del fruitore. Gli scatti di Renato Iannone sono sguardi dolorosi e taglienti su una realtà metropolitana offesa dall’incuria e dal disamore, sapientemente cristallizzati in un bianco e nero che, sottraendo le immagini al contingente, le proietta in una dimensione atemporale, sospesa, quasi magica. Liliana Comes dona, a tali scatti, un’anima delicata di fiaba colorata, tenue manifestazione di creature labili e leggere che, a volte come “cuori” pulsanti, piccole ed esili compaiono defilate, altre emergono impalpabili e monumentali, e, impossessandosi della rappresentazione, danzano poeticamente in essa. L’opera di Iannone e della Comes, così, diviene tutt’uno, inscindibile nella sua forza espressiva e di comunicazione: spazi negletti, ambienti orfani, edifici dimenticati sono vivificati dalla presenza della “fata”, araldo di bellezza che reclama nuove narrazioni possibili a quelle dell’abbandono. Una “fata” che non tradisce la sua incantevole grazia col fragore del grido, poiché figlio della passione e del desiderio, grido d’amore che si eleva, potente e disperato, sull’eco dell’indifferenza e dell’insensibilità.

Dott.ssa Antonella Nigro
Antonella Nigro

Docente e critico d’arte si occupa di curare eventi di arte contemporanea ed è autrice di numerose pubblicazioni

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ILDE RAMPINO - Scrittrice e Poetessa - ispirata dall'Opera: "Fata trivella"

Ascolti, tra il silenzio delle onde, qualcosa che non conosci, trattenendo l'acqua del mare, mentre qualcosa di opprimente sembra sconvolgerti e frenare il peso del mondo, ma tu stai lì, a sorreggere la realtà e la accogli, con gli occhi chiusi, come in attesa, senza che tu avverta quel peso, lo sostieni con la tua leggerezza e il tuo candore, appoggiata alla calma della tua anima.

Pensieri spontanei...

ILDE RAMPINO - Scrittrice e Poetessa - ispirata dall'Opera: "Fata trivella"

Ascolti, tra il silenzio delle onde, qualcosa che non conosci, trattenendo l'acqua del mare, mentre qualcosa di opprimente sembra sconvolgerti e frenare il peso del mondo, ma tu stai lì, a sorreggere la realtà e la accogli, con gli occhi chiusi, come in attesa, senza che tu avverta quel peso, lo sostieni con la tua leggerezza e il tuo candore, appoggiata alla calma della tua anima.

CHIARA RITA AMATO - Pittrice - Critico e Curatore

Grida muta la Fata nel suo spirito, grida la mia bellezza.

I luoghi cari di una vita, i posti in cui lei cresce, gli ambienti dove costruisce le sue certezze ogni giorno e che per questo, divenuti contenitori di elementi della natura ed oggetti familiari, l’accompagnano, la orientano, la proteggono. Capita poi che una volta adulta, la fata esca anche semplicemente per passeggiare, e che improvvisamente, come un urto, non riconosca quei posti cari. Qualcosa è cambiato, qualcosa è stato abbattuto, estirpato, sporcato, violentato. Qualcosa non è più come prima, è stato trafugato un pezzo di posto e insieme, è stato portato via un pezzo di ricordo, cancellato, rimosso dalle foto dell’album dei ricordi. Quelle foto preziose, in bianco e nero, che esaltano tutti gli elementi, con luci e ombre calibrate, quelle foto minuziose di particolari, della loro sostanza materica, della fisionomia lineare, sature di uno spazialità corposa e dirompente, che emerge da scorci prospettici anche arditi, diagonali, scale e altezze da vertigini. Sono scatti di un uomo, un artista impegnato nella rivalutazione del territorio, diretto, franco, profondo e sincero. Sono le istantanee di Renato Iannone. Raffigurano i posti della Fata, inquadrati così da far emergere la loro potenza ambientale e urbana, la loro superba bellezza delle geometrie della natura e di quelle assemblate dall’uomo. La dolce creatura, si materializza dalle matite di un’altra donna artista, Liliana Comes, è leggiadra e poetica, nelle lievi sfumature e nelle linee sinuose, eleganti, un po’allungate. Eccola la Fata che si aggira silenziosa in questi luoghi di una vita. Eccola, mentre con forza cerca di uscire dall’iniziale smarrimento. Sono i suoi luoghi dopo tutto: ci vuole entrare ancora, li vuole osservare, sentire, con lo sguardo che si fa come tatto. In essi si fa assorbire, con essi si vuole ancora amalgamare. Ma chi è la Fata? Un’entità femminile che si fa presenza agli occhi delle anime sensibili, probabilmente è una donna intorno o poco oltre i quaranta, quando ha raggiunto la maturità necessaria per poter dare un valore aggiunto ai ricordi e voler cominciare a raccoglierli per fermarli in un’istantanea e conservarli, per avere il piacere di sfogliarli, magari una domenica pomeriggio, se è sola o quando si ritrova sola, perché la solitudine, che è un elemento necessario alla visione di questi scenari, non fa più paura, magari mette malinconia, dolce e amara, come una nota musicale.

La Fata posso essere io, ed ecco in seguito, il “Racconto di una Fata”.

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“ Ho sempre amato i piccoli porti, del mare mi piaceva vedere la sua presenza nei segni del lavoro dei pescatori, segni lasciati nelle reti, sottili, più spesse, e nei nodi, nelle parti avvolte in disordine. Mi piacciono le piccole barche di legno colorate, di azzurro forte, soprattutto quelle rovinate, spezzate, che lasciano intravedere la materia, il legno, con le sue sfumature, le parti attaccate, corrose, e poi il ferro vecchio delle ancore, la ruggine. Se un corso d’acqua scende in diagonale, io mi distendo e ne assecondo il corso. Eccomi, mi vedi? Sono sola e grande, vicino ad una barchetta, anche lei, unica. Tutto è solitudine e vuoto, disordine e abbandono. Se qualcosa qui è cambiato, allora io abbraccio il mio posto. Lui maschio, io donna. Sentimi, accoglimi amor mio. “ ( Fatabarca dell’abbandono).

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“ Al posto del verde di una volta, al posto dello spazio dove poter correre e giocare, ogni volta si apre un cantiere nuovo. Il disordine di un cantiere abbandonato, infastidisce certo e mette confusione anche nella testa. Però decido di visitarlo, ii fondo il legno mi piace. Ne godo della vista e ne respiro l’odore. Mi sono seduta, un po’ titubante, ma con in mano un fiore. Vengo con un segno di pace. Non potrai abbandonare né abbattere la mia speranza di ritrovare il mio spazio come fosse un cantiere. (Fata di cantiere)

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“ Sembra che certi edifici e la disposizione urbana di questi, cambi così repentinamente, quasi come l’accorgermi di un nuovo capello bianco. Chi sono questi nuovi abitanti, quali nuovi mestieri? Un po’ per curiosità e certo per affetto, sono qui, col mio ombrellino da sole, a guardare lontano. Mi vedete? Se si, scendete in strada, venite da me. Parliamoci e spiegatemi questa nuova città. Con la compagnia, non ci si smarrisce più. “ (Fatasmarrita in un luogo abitato).
 

“ Io sento l’aria, io sento il mare. Essi vivono, se anch’io vivo allora, ne faccio parte. Non mi hai vista uomo ad occhi socchiusi, un po’ triste quando prelevavi il petrolio dalle acque o quando quasi mi sollevavi insieme al cemento, per innalzare i tuoi muri di edifici, togliendomi sempre più aria? “ (Fatatrivella e Fatagrù)

“ Sei entrato anche sottoterra uomo. Dove entri, lasci sporcizia e disordine. Le scale mobili, per carità, una gran bella invenzione. Dovevi collegare e hai scollegato. Come è stato possibile? Con la mancata manutenzione, con la sporcizia. Scendo sola con la mia borsa da lavoro tutti i giorni quelle scale. Non mi hai pensata, no, affatto. Non hai pensato a quanto sia ancora più pesante, farlo in queste condizioni. Farlo da soli, o con altri, ormai alienati e indifferenti, che si sono rassegnati. Nessuno con cui arrabbiarsi mentre si scende. Sola o sempre sola in mezzo ai tanti.” ( Fata al sottopasso)
 

“ Mura e grate. Mura imbrattate e magazzini chiusi. Magari è notte, Magari è Natale. Nuovi centri commerciali che fioriscono come fiori. Ma io, mi sento come un’ape in un alveare che non è il mio. Pensosa e incerta, mi hai bloccata con la tua incuria, del decoro pubblico e del diritto agli spazi liberi. Ti guardo gigantesca da dietro ad una grata. Guardo un cieco.” (Fata incastrata):

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“ Un luogo su una terrazza alta, di fronte al mare della mia città. Un panchina ed io mi ci sono seduta. Il mio fiore è mosso dal vento. Respiro l’aria e vorrei trattenere anche il paesaggio quando inspiro. Ho terminato per oggi la mia camminata. Apprezzo la solitudine che mi consente l’ascolto di questa giornata e l’ascolto di te, oh mia sempre bella città. Ti ho percorso per ogni dove con discrezione, silenzio, dolcezza. Ascoltiamoci. Speriamo e sogniamo ancora. “ (Fata in ascolto).

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